Una danza pericolosa

Kathleen, studentessa universitaria con la passione per la danza, si ammala di meningite. "Ero convinta di essere sopravvissuta al peggio, ma quando il chirurgo mi disse che avrei perso le gambe, ho realizzato che la setticemia meningococcica avrebbe condizionato per sempre la mia vita. Non avrei mai più potuto danzare."

Ho iniziato i miei studi universitari presso l'università di Leeds, nel settembre del 2007. Avevo appena cominciato a divertirmi, a conoscere nuovi amici e ad assaporare, per la prima volta in vita mia, l’indipendenza. Ho sempre praticato danza fin da quando ero piccola, e stavo riuscendo nell’impresa di conciliare la mia passione con gli impegni universitari. Al volgere del termine del semestre, ero impaziente di festeggiare il mio diciannovesimo compleanno, nel mese di dicembre.

Il 3 dicembre avevo seguito una lezione di danza ed ero andata a letto relativamente presto, dovendo partecipare, il mattino seguente, ad un importante seminario. Durante la notte, ricordo di essere stata in preda al delirio, con tremori incontrollabili, e in uno stato di estrema sofferenza. Il mattino seguente, mi ero trascinata fuori dal letto, avevo aperto la porta, ed ero inciampata all’ingresso del mio appartamento. Le luci mi sembravano accecanti, e a malapena ero riuscita ad entrare in cucina dove, per fortuna, erano presenti due dei miei coinquilini. Un’altra cosa che ricordo sono i paramedici, mentre mi chiedevano se avessi assunto qualche sostanza o farmaco, e mi dicevano che mi avrebbero accompagnata d’urgenza in Pronto Soccorso.

Dopo un’ora di attesa in ospedale, uno dei medici notò un eritema sul mio braccio; successivamente sono stata ricoverata in terapia intensiva. E’ seguita un’insufficienza d'organo multipla, e sono stata messa in terapia di supporto. Ai miei genitori fu data la sconvolgente notizia che la loro figlia, che aveva lasciato casa solo pochi di mesi prima, rischiava di morire.

In qualche modo sono riuscita a sopravvivere alle prime quarantotto ore, nonostante un cardiologo avesse definito “impressionanti” le condizione del mio cuore. Ai miei genitori fu detto per due volte che non c’era nient’altro che i medici avrebbero potuto fare, e che molto probabilmente non ce l’avrei fatta.

In qualche modo sono sopravvissuta; forse per la mia giovane età, forse perché ero sana, o perché mi avevano dato una terapia sperimentale. Tuttavia, superata la fase più critica, i medici cominciarono a preoccuparsi del fatto che i miei reni avessero smesso di funzionare. Inoltre, a causa della setticemia, le mie gambe erano completamente nere, e il mio corpo era coperto da grandi croste.

Sono entrata in dialisi, e i medici temevano che vi sarei rimasta per tutta la vita. Dopo tre settimane in Unità di terapia intensiva, sono stata trasferita in un reparto caratterizzato da una minore intensità di cure (dove ho trascorso il Natale), e infine, in un reparto di nefrologia. Questa fase della mia esperienza in ospedale è stata la peggiore. Ero quasi sempre sveglia e aveva un sacco di tempo per pensare, e per guardare le mie gambe, che versavano in uno stato orribile.

Ricordo, all’ultimo dell’anno, di aver guardato fuori dalla finestra. Riuscivo a stento a muovermi; potevo sentire i fuochi d'artificio, ma non riuscivo a intravederli. Ho pensato a tutta la felicità e ai sentimenti positivi che, in condizioni normali, avrebbero accompagnato quella ricorrenza, e a come sembrassero lontani dalla situazione che stavo vivendo.

Sentirmi dire che avrei perso le gambe, è stato, ed è tuttora, il momento più difficile che abbia mai vissuto. Inizialmente, il chirurgo plastico pensava che sarebbe stato necessario amputare solo le dita dei piedi e i talloni, ma con il passare del tempo le mie gambe non avevano mostrato alcun segno di miglioramento, ed erano andate in gangrena. Non appena mi diede la notizia, ricordo di aver urlato. Le mie conoscenze sulle possibilità offerte dalle protesi erano pari a zero, e in quel momento pensavo che non sarei stata in grado di camminare di nuovo; figuriamoci di danzare.

Non voglio ripensare a come mi sentivo quando guardavo verso il basso, e vedevo la mia carne come se fosse morta, avvizzita. La perdita delle mie gambe; lo spazio sul letto, che un tempo occupavano, ora vuoto, è ancora un pensiero doloroso, per me.

Ero convinta di essere sopravvissuta al peggio, ma quando il chirurgo mi disse che avrei perso le gambe, ho realizzato che la setticemia meningococcica avrebbe condizionato per sempre la mia vita. Non avrei mai più potuto danzare.

Dopo tre mesi di ospedale, tornai a casa dei miei genitori per il recupero. La mia priorità era imparare a camminare. Frequentai regolarmente le sedute di fisioterapia, e fui ben felice di avvalermi di un sostegno tecnologico, se questo avrebbe potuto significare essere in grado di puntare in alto, e riprendere a camminare. E’ stato terribile per me, così fiduciosa, così libera, essere colpita da questa malattia così pesante, non potermi più alzare dal letto, ed essere costretta a dipendere interamente dai miei genitori per andare in bagno, lavarmi, e per compiere le azioni più semplici, che un tempo davo per scontate.

Sono tornata all'Università il settembre successivo. La vita era molto diversa, ed è stato difficile adattarsi ai cambiamenti. Anche se non potevo più danzare, ho ripreso a frequentare le lezioni regolarmente, e collaboravo nella realizzazione delle coreografie. Mi sono anche occupata di arte e fotografia, e ho contribuito a creare una associazione di disabili presso l’Università.

Ho avuto bisogno di un po’ di tempo, per iniziare a acquistare fiducia nelle mie capacità di recupero. Ora mi sento più serena nei confronti di quanto è successo; ho maturato la capacità di vedere le mie possibilità fisiche in una diversa prospettiva, anche se inizialmente avevo paura di incontrare nuove persone e parlare loro delle mie gambe; ero tesa anche solo al pensiero di uscire. Non considero più tutto ciò che ho vissuto nello stesso modo; le protesi sono parte della mia vita quotidiana, e sono felice di parlare apertamente di ciò che mi è successo, e della mia disabilità. La gente deve conoscere questa malattia e sapere che le disabilità fanno parte della vita, e vanno accettate.

Attualmente lavoro come giornalista alla BBC, dopo aver ottenuto un posto come tirocinante. Guardandomi indietro mi sorprende pensare a quanta strada ho fatto. Non sono mancati i momenti di sconforto; la setticemia da meningococco mi ha portata a mettere in discussione molte cose della mia vita, e ad attraversare dei momenti che non auguro a nessuno.

Questa malattia è terribile, deve essere combattuta, e io sono una convinta sostenitrice dell’utilità del vaccino, che è già disponibile. Sono sconcertata dal fatto che esistano opposizioni in tal senso.

Nonostante quello che ho perso, la setticemia meningococcica mi ha consentito di raggiungere un’insostituibile capacità di introspezione; ha temprato il mio carattere; ha cambiato il mio modo di pormi nei confronti della disabilità, e mi ha insegnato il significato della compassione nei confronti degli altri. E’ stata un'esperienza che ha arricchito la mia vita.

Kathleen Hawkins è l’ambasciatrice regionale della Meningitis research foundation a Bristol, nel Regno Unito. Il testo originale della storia si trova qui.